L’Italia vittima e carnefice delle armi chimiche fa sentire la sua voce.

Comunicato Stampa
 
L’Italia vittima e carnefice delle armi chimiche fa sentire la sua voce.
 
Invito al Convegno presso il Senato della Repubblica
21 Febbraio 2012 – ore 9,30 – sala ex Hotel Bologna – Via di Santa Chiara, 5
 
Il conflitto in Libia ha contribuito a rilanciare l’allarme su componenti per la fabbricazione di armi chimiche vendute dal nostro paese senza troppi riguardi per i potenziali pericoli per l’umanità. Pare sempre più chiaro che il regime di Gheddafi accumulasse armi chimiche nei suoi arsenali anche grazie al contributo dell’industria bellica italiana.
La produzione e il deposito di arsenali chimici hanno prodotto un pesantissimo impatto ambientale in numerosi Comuni italiani, dalla Tuscia alla Lombardia, dalle Marche alla Campania, dal Lazio alla Puglia. Terreni, stabilimenti e discariche sottomarine ospitano l’eredità del colossale arsenale creato principalmente dal fascismo e poi sottaciuto dai governi della Repubblica.
Da circa un anno, un gruppo di associazioni e comitati ha istituito il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, di cui è membro Retuvasa, finalizzato al monitoraggio e alla bonifica dei siti contaminati da ordigni bellici chimici inabissati o interrati durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Il C.N.B.A.C., composto da associazioni e comitati operanti nelle zone più colpite in Italia (Lago di Vico, Molfetta, Colleferro, Ischia, Pesaro e Cattolica), invita i cittadini a partecipare al Convegno Armi chimiche: un’eredità ancora pericolosa. Mappatura, monitoraggio e bonifica dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra mondiale, che si terrà il presso il Senato della Repubblica il 21 Febbraio 2012 – ore 9,30 – sala ex Hotel Bologna – Via di Santa Chiara, 5.
Comunicato Stampa
 
L’Italia vittima e carnefice delle armi chimiche fa sentire la sua voce.
 
Invito al Convegno presso il Senato della Repubblica
21 Febbraio 2012 – ore 9,30 – sala ex Hotel Bologna – Via di Santa Chiara, 5
 
Il conflitto in Libia ha contribuito a rilanciare l’allarme su componenti per la fabbricazione di armi chimiche vendute dal nostro paese senza troppi riguardi per i potenziali pericoli per l’umanità. Pare sempre più chiaro che il regime di Gheddafi accumulasse armi chimiche nei suoi arsenali anche grazie al contributo dell’industria bellica italiana.
La produzione e il deposito di arsenali chimici hanno prodotto un pesantissimo impatto ambientale in numerosi Comuni italiani, dalla Tuscia alla Lombardia, dalle Marche alla Campania, dal Lazio alla Puglia. Terreni, stabilimenti e discariche sottomarine ospitano l’eredità del colossale arsenale creato principalmente dal fascismo e poi sottaciuto dai governi della Repubblica.
Da circa un anno, un gruppo di associazioni e comitati ha istituito il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, di cui è membro Retuvasa, finalizzato al monitoraggio e alla bonifica dei siti contaminati da ordigni bellici chimici inabissati o interrati durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Il C.N.B.A.C., composto da associazioni e comitati operanti nelle zone più colpite in Italia (Lago di Vico, Molfetta, Colleferro, Ischia, Pesaro e Cattolica), invita i cittadini a partecipare al Convegno Armi chimiche: un’eredità ancora pericolosa. Mappatura, monitoraggio e bonifica dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra mondiale, che si terrà il presso il Senato della Repubblica il 21 Febbraio 2012 – ore 9,30 – sala ex Hotel Bologna – Via di Santa Chiara, 5.

 
Appendice storica
 
L’arsenale chimico creato dal regime fascista all’inizio degli anni Trenta ha richiesto un programma industriale colossale, con impianti per distillare gas letali come iprite, arsenico e fosgene in decine di fabbriche, dalla Puglia alla Lombardia.
Durante la seconda guerra mondiale, a questa sterminata riserva di ordigni mortali, solo in minima parte impiegata nelle spedizioni coloniali in Libia e in Etiopia, si è aggiunta un’enorme scorta di bombe chimiche trasferita in Italia dagli Alleati. Alla fine del conflitto, queste armi sono state nascoste e dimenticate, senza bonificare i siti dove si producevano o le discariche dove sono state sepolte.
Una quantità colossale di ordigni è stata gettata in mare dagli americani davanti alle coste di Ischia e di Molfetta, dai tedeschi davanti a quelle di Pesaro. L’esercito italiano ha continuato a custodire e sperimentare i gas letali nei boschi del Lago di Vico (e persino nel centro di Roma, a pochi passi dalla Sapienza).
Colleferro ha esportato in numerosi paesi, con predilezione per quelli della penisola arabica e del Nord Africa, mine antiuomo (BPD-SB33), tecnologie per cluster bombs (Bomblets Cargo Round e razzi Firos), propellenti solidi per missili. Uno degli acquirenti di spicco è stato l’Iraq di Saddam Hussein, che aveva nella SNIA-BPD un fornitore di eccellenza.
In particolare, l’aggiramento delle normative internazionali per i trasferimenti d’arma ha consentito negli anni ’80 di far giungere all’Iraq, come corredo di armamenti convenzionali, disegni e test di modifiche per l’inserimento di gas quali iprite e sarin. Ciò è confermato dai rapporti delle Nazioni Unite (UNMOVIC) e da documenti trovati presso i National Archives inglesi. Test effettuati a Colleferro su carta intestata SNIA BPD comprovano l’efficacia delle modifiche da applicare con lo spargimento nel terreno e nell’aria di sostanze successivamente utilizzate dall’Iraq nella guerra contro l’Iran. Ci chiediamo inoltre se e a quanti altri paesi siano stati consegnati questi test. Per rispondere a tale interrogativo, sollecitiamo adeguate indagini da parte delle istituzioni. La certezza, intanto, è che la spregiudicatezza dei signori della guerra ha permesso in alcuni casi eccidi di massa con armi chimiche.
Da una foto di Repubblica del 22 Marzo 2011, scattata durante la guerra in Libia e da Retuvasa evidenziata in alcuni dettagli, si evince ad esempio che la Libia era in possesso delle stesse armi convenzionali, passibili di modifiche, detenute dall’Iraq. Dal rapporto del giornalista Kenneth R. Timmerman, The Poison Gas ConnectionWestern suppliers of unconventional weapons and technologies in Iraq and Libya, commissionato dal Simon Wiesenthal Center, si evidenziano rapporti di intermediazione tra Iraq e Libia per gli stoccaggi di armi chimiche nei depositi libici di Rabta.
Tutto questo ha dunque preso le mosse negli anni oscuri dell’ “azienda madre” di Colleferro, da ricordare anche per il carico ambientale ad orologeria rivelatosi nei decenni successivi. Un’azienda bellica è di fatto chimica, considerate le svariate sostanze utilizzate nella preparazione degli esplosivi, spesso tossiche e cancerogene, che potrebbero essere incluse nel cocktail inquinante dei siti Arpa1 e Arpa2. Sottolineiamo che parte delle caratterizzazioni del Sito di Interesse Nazionale della Valle del Sacco n. 51, all’interno dell’area industriale di Colleferro, sono state affidate alle aziende interne (anche se sono state accolte alcune opportune esclusioni da noi proposte, relative agli incarichi per il controllo sul sito di stoccaggio definitivo Arpa2).
Nel 2006 risulta siano state ancora trasferite dall’industria bellica colleferrina unità di ricambio per razzi Firos all’Arabia Saudita, che sembra ne rimanga a tutt’oggi il maggior acquirente, visto che una relazione del 2010 riporta acquisti di armamenti da terra per importi di milioni di euro.
Sollecitiamo inoltre la revisione delle disposizioni di segreto militare dettate dal Regio Decreto 11 luglio 1941, n. 1161, e dal regolamento di Pubblica Sicurezza del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635, in particolar modo riguardo ai controlli di carattere ambientale da parte degli organi preposti, abolendo le trafile burocratiche e le domande in carta bollata al Ministero dell’Interno.
 
 
Colleferro, 13.02.12
 
Ufficio Stampa Retuvasa